sabato 22 marzo 2014

Tra Gramsci e Rawls: egemonia nella ragion pubblica

Negli altri post di questo blog (più esplicitamente in questo) affermo che per avere l'egemonia occorre essere sicuri delle proprie idee e della possibilità di convincere altri della loro universale validità.

Questo elemento soggettivo non viene esplicitato in Gramsci, e l'ho tratto dal concetto di ragion pubblica di John Rawls, che, a dire il vero, non esige tanto.

Questa pagina dice che Rawls ritiene che i cittadini:
devono essere pronti a spiegarsi reciprocamente le basi delle proprie azioni in un modo tale che ciascuno si possa ragionevolmente aspettare che le sue spiegazioni siano accettate dagli altri, perché compatibili con la loro libertà e uguaglianza (John Rawls, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano 1994, p. 187) 
Si può intendere Rawls come colui che detta le regole della lotta per l'egemonia in un regime democratico costituzionale - un gruppo sociale può ambire all'egemonia non solo se soddisfa le esigenze di un particolare momento storico (lo ammetto, è il mio tributo reso controvoglia alla dottrina marxista), ma anche e soprattutto se sa articolare la propria ideologia in modo compatibile con le esigenze della ragion pubblica.

Non è necessario per questo fare del proselitismo ideologico: è sufficiente dimostrare di essere capaci di farsi carico anche delle esigenze e dei diritti degli altri.

Per Gramsci l'alternativa all'egemonia, che consente di far accettare pacificamente il proprio ruolo dirigente, è il dominio - esercitato con la forza; di Rawls così riassume il pensiero Marco Grieco in questa pagina:
La ragione pubblica, quindi, si definisce, sempre più precisamente, come il modo in cui cittadini, che agiscono e pensano secondo dottrine ragionevoli, si "autogovernano". La coscienza civica e politica, infatti, permette al singolo di sentirsi parte integrante di un sistema di potere a cui è soggetto ma che, al contempo, contribuisce a determinare. Se manca, o risulta distorta, la percezione di entrambi i ruoli (dell'esercitare e del subire) nei confronti del potere, ovvero, se il cittadino  non partecipa alla definizione dei limiti della propria libertà, è inevitabile il sentimento di esclusione che ne deriva (cui possono seguire pericolose forme di rivolta) [enfasi dell'autore].
Il brano mostra quanto siano simili i problemi che Gramsci e Rawls affrontano, anche se diversi sono gli obbiettivi: la dittatura (democratica) del proletariato in Gramsci, una società liberale costituzionale in Rawls.

I bisessuali devono essere i gramsciani di un sistema politico rawlsiano.

Raffaele Ladu
22 Marzo 2014

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